Intelligenza Artificiale e Customer Experience?

Dal Mobile World Congress 2016 al recente discorso sulla roadmap decennale di Facebook tenutosi durante la conferenza per gli sviluppatori F8, l’intelligenza artificiale (IA) è decisamente apparsa come uno dei trend tecnologici più caldi del momento. E, considerando nello specifico la sua applicazione in ambito Customer Experience, oggi emerge come un tema prioritario quando si parla di innovazione in azienda.

Le notizie provenienti da diversi esperimenti di IA non sono però ancora molto rassicuranti: il disastro registrato da Tay ha infatti dimostrato ancora una volta la validità di quanto avrebbe detto dell’informatica un mio professore universitario: “inserisci spazzatura – rilasci spazzatura”. Quindi da un lato dovremmo essere felici di avere i computer che ci danno una mano con la CX, ma dall’altro appare anche molto rischioso in quanto qualsiasi intelligenza artificiale esposta direttamente al pubblico può essere manipolata per dar luogo a reazioni cattive, razziste o fuori luogo se soggetta a stimoli apparentemente innocenti; a volte solo per dire qualcosa altre frutto di un sabotaggio programmato per creare problemi.

Nell’ambito della Customer Experience, il rapporto con l’automazione è del resto sempre stato controverso. Un cliente gradirebbe essere servito da un robot, e in che misura? Perché un’azienda dovrebbe voler investire una quantità significativa di tempo e denaro per poi esporre ad abusi e terribili attacchi potenziali da parte di troll e hacker la sua prima interfaccia verso l’esterno così come le attività maggiormente visibili?

Il problema di ogni intelligenza artificiale è, ovviamente, legato all’apprendimento. Quindi nel caso di Tay l’errore compiuto da Microsoft è stato probabilmente quello di credere che la rete pubblica fosse onesta e leale mentre trasferiva al suo bot delle capacità di conversazione.

Avendo lavorato per molti anni nel campo della Customer Experience, non mi fiderei mai di un bot che impara a comportarsi in base a quanto avviene sui social media: vi immaginate di inviare un agente neoassunto ad apprendere capacità di conversazione ed empatia direttamente… sulla strada?

Ma…. d’altro canto, so bene che queste persone (quelle del team CX) si trovano letteralmente sedute su una pila di registrazioni di interazioni che vengono raramente utilizzate, se non in relazione ad alcune sparute regole di gestione della qualità e della compliance. Quindi, perché non servirsi di questi big data per istruire l’IA, in un ambiente controllato, reale e di tipo aziendale, a svolgere una conversazione su un marchio o prodotto? Forse non si tratta di un’idea originale ma non ho visto finora nessuno metterla concretamente in pratica. Il freno maggiore è probabilmente il fatto che i progetti di intelligenza artificiale si trovano ancora in una fase sperimentale, sono molto costosi e non portano a risultati del tutto certi.

Proviamo però a mettere il nuovo assunto in ascolto di migliaia di ore di conversazione in modo tale che impari a risolvere i problemi, a passare in modo appropriato le chiamate, a comportarsi correttamente quando interagisce, mantenendo il linguaggio di business aziendale e di brand! Sarebbe un obiettivo impossibile per qualsiasi essere umano, mentre per un bot… nessun problema.

Il risultato: un agente perfettamente formato, pronto a rispondere alle richieste più difficili al pari di quello attualmente più competente. Inoltre, poiché ogni contact center è diverso dall’altro, le registrazioni porteranno ad apprendimenti e comportamenti differenti e più accurati da parte di una stessa intelligenza artificiale. Non è quindi auspicabile che il sogno di un IA di questo tipo diventi realtà?

Del resto, come consumatori, probabilmente non ci interesserà che le risposte arrivino da un bot, ancor più nello specifico dei canali digitali dove non esiste voce e tracciamento e quindi sarebbe difficile rendersene conto. Insomma, ciò che soprattutto importa è la percezione della CX, non la realtà che si cela dietro.

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